Aldo
Garofolo, ex ricercatore del CRA-ENC ed ex-docente di analisi chimiche presso
l’Università della Tuscia di Viterbo, facoltà di Agraria, fa notare che:
“La
sostanza organica (SO) o biomassa contenuta nei rifiuti urbani e/o negli scarti
vegetali delle attività agricole, può essere degradata, stabilizzata ed
eventualmente trasformata in fertilizzante in due modi: aerobico (all’aria) e
anaerobico (in assenza d’aria).
I due sistemi sono diametralmente opposti:
L’aerobico demolisce
la sostanza organica in modo “naturale” e non produce gas combustibili. Se
utilizza SO selezionata (da raccolta differenziata spinta, sfalci e potature
verdi) produce un fertilizzante ottimo per impieghi in agricoltura e
florovivaismo nella forma di compost di qualità.
L’anaerobico agisce
per lo più a caldo, con produzione di metano e altri gas (bruciati per ottenere
energia termica e/o elettrica) e di percolato liquido inquinante. Il rifiuto
esausto (digestato) viene poi “stabilizzato” in presenza d’aria e, a seconda
della tipologia, dà origine a un prodotto che i fautori chiamano in modo
improprio e truffaldino “compost”, ma che invece ha una composizione chimica e
una qualità nettamente inferiore al vero compost aerobico, oppure genera un
nuovo rifiuto da portare ancora in discarica.
Occorre
ricordare che le biomasse attualmente previste negli impianti di digestione
anaerobica – aerobica fanno riferimento alla FORSU.
Ma
sappiamo che il termine nasconde ben altro rispetto al solo organico separato
con la raccolta differenziata spinta e quindi comprende una vastissima serie di
codici CER che spaziano dagli scarti agro industriali a quelli legati al
comparto carni, lattiero caseario etc.
Per capire
la differenza tra un compost aerobico puro e un cosiddetto “compost” che
proviene da digestione anaerobica bisogna seguire quanto accade nelle
specifiche condizioni usate nella maggioranza degli impianti anaerobici –
aerobici.
Anzitutto
bisogna capire che la digestione della biomassa in assenza d’aria, fondamentale
per la produzione di biogas, impone temperature medio-alte (in media 55°C) per
effetto delle quali si verifica una selezione batterica a favore dei gruppi
termofili.
In
particolare si avvalgono delle condizioni migliori di prevalenza i termofili,
anaerobi puri, tra cui i temutissimi Clostridium le cui spore sono in grado di
sopravvivere ben al di sopra dei 100°C. Tra i ceppi più famigerati figura il
Clostridium botulini e il Clostridium tetani capaci di produrre le note
neurotossine mortali.
Quindi
prima conseguenza e prima differenza: il compost derivante da processo
anaerobico preliminare ha molte probabilità di contenere un numero
significativo di spore di questi batteri.
Nel
momento in cui è usato come ammendante agricolo può provocare la contaminazione
del terreno e quindi delle piante, ortaggi in particolare. Per meglio
approfondire le ragioni della seconda differenza occorre tornare alle opzioni
impiantistiche.
Le
tecniche di digestione anaerobica possono essere suddivise in due gruppi
principali:
-
digestione a umido (wet), quando il substrato in digestione ha un contenuto di
sostanza secca inferiore al 10%; è questa la tecnica più diffusa, in
particolare con i liquami zootecnici.
-
digestione a secco(dry), quando il substrato in digestione ha un contenuto di
sostanza secca superiore al 20%;
Processi
con valori intermedi di sostanza secca sono meno comuni e vengono in genere
definiti a semisecco (semi-dry).
L’opzione
digestione a secco è quella che, a causa del ricircolo totale del percolato
sulla biomassa in digestione produce i danni maggiori.
Il
ricircolo parziale o totale del percolato liquido nella massa solida in
digestione (digestato) produce uno stravolgimento proporzionale della sua
composizione chimica, con l’aumento del contenuto salino totale: sodio,
cloruri, ferro, metalli pesanti, azoto ammoniacale. In particolare l’azoto
organico originario della biomassa subisce le trasformazioni più drastiche.
Circa il 40% e oltre diviene ammoniacale, forma questa altamente solubile.
La
decisione di trasformare il digestato in “compost” mediante fermentazione
anaerobica finale è folle sia dal punto di vista agronomico che della tutela
della salute. Ma risponde alla necessità dei progettisti e gestori di non portarsi
dietro la zavorra di un residuo classificabile altrimenti come rifiuto speciale
da smaltire.
Terza
differenza: la digestione anaerobica preventiva della biomassa provoca sul
digestato e sul cosiddetto compost non solo l’aumento degli inquinanti chimici
e della salinità, ma anche un depauperamento della sua frazione carboniosa
stabile.
Per dirla
in termini comprensibili, il processo anaerobico comporta una drastica perdita
del carbonio organico delle biomasse, liberato sotto forma di gas metano. Questo
fatto abbassa moltissimo la quota di macromolecole organiche che viceversa
fanno la ricchezza e il valore aggiunto di ogni compost aerobico correttamente
prodotto. Gli acidi humici e fulvici, elementi essenziali di ogni buon compost
perché inglobano l’azoto a lenta cessione e hanno la capacità di complessare
micro e macroelementi nutritivi, sono notevolmente inferiori per quantità e
qualità nel sottoprodotto “compost” da anaerobica.”
Tratto dal profilo Facebook di Marì Muscarà, pubblicato il 26-12-2013
Qui sotto, invece, riportiamo
il link di un articolo che potrebbe essere interessante con il video sull’impianto di Montello (BG) che prevede una
fase mista, anaerobica ed aerobica …
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