RILFESSIONI ... per non ripetere gli stessi errori ...
In ogni periodo si sono perpetrati gli scempi e le speculazioni più assurde, mancando l’occasione che poteva fare di questa una città a misura d’uomo, una vera città moderna. La miopia di chi ci ha governato per decenni ha invece creato solo degrado ed una città invivibile anche per i più avvezzi. Nonostante ci sia nato, camminando per le strade di Nocera provo un grande disagio. Sembra sia passato un re “Mida” che abbia trasformato, con il solo tocco di un dito, ogni spazio in “cemento” (oro per gli speculatori e i gruppi d’affari), come anche i pensieri di chi ci ha governato. L’unica cosa di cui siamo assai capaci in questa città sembra sia proprio creare mostruosi edifici ed abbattere alberi e giardini.
Accanto ai nuclei antichi , orami martoriati e
degradati, dei casali e del borgo, si è sviluppata una città di solo cemento ed
asfalto, a misura della massima speculazione, alla faccia dello sviluppo
equilibrato, della dimensione umana a difesa della quale si sono versati fiumi
di inchiostro da parte degli studiosi. Lo sviluppo organico, armonico che si è
avuto nei secoli passati è stato
cancellato in un momento, grazie alla speculazione immobiliare, al concetto
ancora tutt’ora dominante che la casa non è più un bene primario ma un oggetto
di profitto e speculazione da parte dei costruttori aiutati dalla politica
degli affari, nel cui intreccio si è facilmente inserita la criminalità
organizzata.
Mi viene da pensare che
forse sarebbe stato opportuno laurearmi in “Speculazione
edilizia”, un bel corso di laurea all’Università di Napoli o quanto meno un
corso di specializzazione post laurea, dove sicuramente i signori che hanno
operato per lo sviluppo di Nocera sarebbero stati i migliori docenti.
Non hanno
perso occasione per mettere le mani sulla città, non sono serviti piani
urbanistici comunali e sovracomunali per evitare gli scempi ed il saccheggio.
Il “Partito del cemento” al di sopra
di tutto e di tutti, prima gli interessi degli speculatori e poi quelli dei
cittadini.
Se
c’è un po’ di spazio di risulta, si
può anche pensare di creare un “Parco giochi comunale” o piccoli recinti, che
vengono poi dati in gestione a privati che l’utilizzano per i loro interessi,
oppure creare spazi di risulta trasformati in aiuole per la gioia dei cani.
Vedi il parco giochi sotto il cavalcavia ferroviario di via Canale, in una zona
depressa; il piccolo campetto con giostrine ed un campo da calcetto tra via
Barbarulo e Capo Casale; il parco giochi a San Francesco dove c’erano i
campetti coperti per i bocciofili, un campo da pallacanestro, un piccolo spazio
con altalene, scivoli e giostrine varie dove i genitori portavano i loro figli
a giocare insieme ai ragazzi del posto, ora praticamente chiuso da qualche anno.
Sono stati eseguiti lavori per realizzare una chiusura ed una copertura
dell’unico campo di pallacanestro, forse proprio per soddisfare e non venir
meno alla smania di costruire. Avevamo qualcosa ora più niente, questa è la
morale.
Le uniche
architetture, dal dopoguerra ad oggi, sono state realizzate con la costruzione
delle cosiddette case popolari; quartieri a sé stanti con le loro cellule
abitative (existens-minimum), con gli spazi pubblici
progettati, è vero, senza continuità con la città, ma che in ogni caso
prevedevano gli standards minimi, meglio che niente.
Le occasioni per la ricostruzione, la prima nell’immediato
dopoguerra (1950-60) e la seconda col post-terremoto (1980-90), non han fatto
altro che accelerare un processo speculativo e di malaffare (ricordiamo i morti
ammazzati tra il 1980 ed il 1990) portato all’estreme conseguenze fino ai
giorni attuali.
Negli anni tra il 1960 e il 1970 si è avuta una edificazione
massiccia, all’epoca dominava l’idea che un paese per essere moderno dovesse per forza avere il suo “grattacielo” e le sue torri in cemento armato, evidentemente a Nocera Inferiore
come in qualche altro paese si è esagerato. Sono stati innalzati in poco tempo
edifici di sette, otto, qualcuno di dieci, dodici piani (fortuna non erano
capaci di costruirli più alti) a formare un continuum su ambedue i lati di
nuove strade, a pochi metri uno dall’altro, senza servizi, parcheggi e quel
minimo di spazio vitale per i cittadini.
Vedi via Attilio Barbarulo, via Correale, via Cucci, via Fucilari,
via Roma, parco di Luggo, via Eugenio Siciliano,
via Siniscalchi, via Pucci e relative traverse, via Martinez y Cabrera, via
Eugenio Siciliano, via bruno Grimaldi, via Atzori e non sono state risparmiate
dallo scempio le zone di Cicalesi, Casolla, Vescovado.
Tra i tanti esempi peggiori il fabbricato in piazza
Zanardelli di fronte alla chiesa del Corpo di Cristo, che ha tolto agli
abitanti di Nocera la visuale della collina del Parco e che incombe minaccioso
di fianco ad essa; in via Solimena al Borgo; in piazza De Santis all’Arenula;
in piazza Amendola con il palazzo costruito di fianco la Chiesa di S.
Maria del Presepe (Santa Monica) ed il palazzo edificato quasi nella piazza
all’angolo con via Fucilari; a Capo Casale, Casale Nuovo e per il Corso Vittorio
Emanuele. Questi alcuni esempi, i più eclatanti, poi costruzioni selvagge
ovunque ad occupare ogni spazio possibile.
Negli anni 1980 e 1990, iniziano gli abbattimenti, come quello di parte degli edifici storici del Corso V. Emanuele, interi pezzi di città, per far posto a mostri edilizi, che a mio avviso restano l’emblema, il simbolo, un monumento della speculazione edilizia, la peggiore prosa edilizia.
Un senso
di disagio e di incertezza mi pervade percorrendo i portici a doppia altezza, e
i piani inclinati, untuosi e dissestati della famigerata “Piazza del Corso”.
Altra importante speculazione è stata la demolizione del palazzo “Buoninconti”
all’angolo tra il corso V. Emanuele e Capo Casale, un’architettura del XVIII
secolo, per far posto ad un edificio stile caserma, unico nel suo genere. Da
ricordare ancora l’abbattimento di parte della “Cortina del Pozzo”, un antico impianto
risalente al XVII secolo e che diede il nome al Casale. Tutti questi abbattimenti ed altri interventi del genere sono
stati possibili grazie alle varie categorie d’intervento dei “Piani di
Recupero” quali la ristrutturazione
edilizia, la ristrutturazione urbanistica, la manutenzione straordinaria.
Queste categorie di lavoro, sembrano siano state inventate per permettere
ancora una volta di mettere le mani sulla città. Interventi urbanistici che invece di
migliorare hanno quasi sempre peggiorato gli spazi così come gli interventi di adeguamento simico hanno qualche
volta peggiorato la condizione statica di molti fabbricati antichi con aggravio
di pesi, come solai e coperture in calcestruzzo cementizio armato, che avevano
subito appena qualche piccolo dissesto sismico. Sopraelevazioni
e aumento di superfici che hanno compromesso, invece che adeguare ed
alleggerire, le opere esistenti.
Sotto
le voci recupero, manutenzione straordinaria, adeguamento sismico, limite di
convenienza (cioè se il costo delle opere per adeguare un edificio superava un
certo valore allora conveniva abbatterlo e ricostruirlo “più bello e più grande che pria”), si sono perpetrati abbattimenti
di intere opere di un certo valore architettonico o di parte di esse, pezzi
della storia architettonica della nostra città sostituendole con brutti edifici
privi di valore e che hanno permesso di aumentare la densità abitativa creando
plusvalore a discapito dei residenti che sono stati letteralmente deportati in
quartieri popolari costruiti ad hoc come l’edilizia straordinaria a “Monte di
Dio”.
L’unico
intervento che doveva essere permesso nei nuclei
antichi di questa, come in altre città, doveva essere solo il restauro e quindi la conservazione
del tessuto e delle emergenze architettoniche, con tutto quello che comporta un
tale intervento, migliorare, demolire le superfetazioni e le brutture aggiunte
nei decenni. Conservare le attività e le destinazioni d’uso compatibili con un
vivere a dimensione umana, specie in spazi ristretti come i nostri centri
antichi, i casali, il borgo, le corti
abitative dove è più utile e conveniente muoversi a piedi, con la bici o
con altri mezzi ecologici, tali impianti andavano conservati nella loro
unitarietà e quindi salvaguardati dalla speculazione, costruzioni preziose ed
irripetibili che hanno creato nei secoli spazi a dimensione umana senza
l’ausilio di alcun Piano Urbanistico.
Questi
solo alcuni esempi, per non parlare della possibilità di creare spazi verdi e
piazze dalla demolizione e dal recupero delle vecchie fabbriche conserviere,
specie quelle che insistevano nel tessuto urbano più vivo, che il Piano di
Recupero a firma del prof. Rossi prevedeva. Tale piano messo a punto nella
seconda metà degli anni ottanta è servito solo per le demolizioni e
ricostruzioni suddette ma disatteso per quanto riguarda gli spazi da restituire
ai cittadini.
Tra
gli abbattimenti eccellenti da non dimenticare quello del Teatro Diana e del
cinema Modernissimo. Il primo per creare abitazioni, ed un piccolo teatrino, un
ricordo del vecchio Diana dove recitarono grandi compagnie ed attori come Totò.
La seconda per creare la cosi detta “Galleria Maiorino”, con uffici e negozi, a
mio avviso poco funzionale perché avrebbe dovuto, come galleria, collegare
qualcosa o semplicemente essere un percorso liberamente attraversabile dalla
gente.
Un’altra
occasione mancata il recupero dell’intero complesso dell’Ospedale Psichiatrico.
Poteva diventare un vero parco
facilmente usufruibile dai cittadini, senza alcuna barriera e recinzione, solo
viali, prati ed alberi che facevano da scenario e da elemento unificatore che con
un progetto unitario, con un minimo di lungimiranza e di audacia poteva essere unito alla collina del
Parco Fiega, ai quartieri Piedimonte e Pietraccetta, nonché, con una vera
grande piazza, alla zona del campo sportivo, della caserma Libroia e del
complesso conventuale di S. Francesco, riprendendo l’antica piazza d’armi e
liberando gli spazi comunali occupati. Tutti gli edifici: il Tribunale, la Polizia di Stato, La Guardia di Finanza, gli
uffici dell’ASL, l’oratorio, potevano tranquillamente prospettare su giardini,
viali alberati, verde attrezzato per lo sport ed il tempo libero e tutto ciò
collegarlo alla collina del Parco, con le sue emergenze architettoniche, con
percorsi pedonali, con una seggiovia, una funicolare fino a raggiungere il
castello e la parte più antica dei ruderi, dove sarebbe stato possibile realizzare
spazi per trascorrere giornate all’aria aperta, far giocare i bambini,
allestire ludoteche nei locali del castello e dove conservare la memoria sia di
giochi all’aperto che di giochi a tavolino. Giochi che ormai non sono più
praticati e di cui si perderà il ricordo.
Avere
a disposizione spazi per i giovani, per gli adolescenti, per coltivare
interessi come la musica, lo sport, il teatro, luoghi di incontro, di crescita
sociale e culturale e non solo musei o quant’altro, mantenendo vivo il luogo
semplicemente concedendolo alla gente e curandolo.
Un’altra
occasione potrebbe essere la caserma Tofano, chissà cosa accadrà, si è già
speculato costruendo un altro mostro accanto ad essa nell’area della vecchia
fabbrica “Schiavo”. Tra le ultime speculazioni edilizie come quella in via
Matteotti con la costruzione che ha preso il posto delle villette unifamiliari
demolite; il fabbricato di 5 piani in via Falcone a ridosso della strada in un
piccolo spazio di risulta; i mostruosi condomini nell’area della vecchia MCM in
via Napoli.
Altri luoghi da recuperare e conservare sono i percorsi lungo l’area pedemontana di Monte Albino ed il recupero dell’intera montagna, ricreare i sentieri, per arrivare in cima ad essa, percorrerla, unendola agli altri percorsi dei monti Lattari che da cava dei Tirreni arrivano fino a Castellammare di Stabia e collegano la costiera Amalfitana e Sorrentina, il “sentiero degli Dei”, “la strada ferrata”, ecc.. Attrattive naturali e paesaggistiche di enorme rilievo.
Altri luoghi da recuperare e conservare sono i percorsi lungo l’area pedemontana di Monte Albino ed il recupero dell’intera montagna, ricreare i sentieri, per arrivare in cima ad essa, percorrerla, unendola agli altri percorsi dei monti Lattari che da cava dei Tirreni arrivano fino a Castellammare di Stabia e collegano la costiera Amalfitana e Sorrentina, il “sentiero degli Dei”, “la strada ferrata”, ecc.. Attrattive naturali e paesaggistiche di enorme rilievo.
I
cittadini devono riappropriarsi della città, del suo destino, decidere sulle
trasformazioni e sulle destinazioni, confrontando varie idee. Non è possibile
pensare di risolvere i problemi di vivibilità della città rifacendo i
marciapiedi, le pavimentazioni stradali, con mattoni di cemento e sabbia
vulcanica (gli stessi che trovi in altri paesi limitrofi dell’area vesuviana, a
Napoli, ad Ischia e che sono serviti
allo stesso scopo) posati su massetti di cemento e sui quali dopo un po’ si
distaccano; oppure abbellendo la Piazza con sculture moderne togliendo la
vecchia fontana, ponendone un’altra nella piazza adiacente (piazza Amendola) la
quale ha funzionato solo all’inizio ed ora versa in condizioni pietose, con
acqua verde-stagnante buona per allevare zanzare, quasi a simbolo della
decadenza e del degrado della città e della sua politica.
Bisogna ridisegnare la città con nuove infrastrutture e con idee che, sulle prime potrebbero sembrare spinte, ma che tenendo in conto di abbattere fabbricati, pezzi di città degradati, fabbricati relativamente nuovi, possano farla respirare e dare l’avvio ad uno sviluppo equilibrato, chiudendo al traffico veicolare parti di città e creando parcheggi liberi a ridosso del centro urbano. Svuotare la città da quelle attività non compatibili e decentrarle, dando la possibilità di trasferirle in zone lottizzate ad hoc. Basta con l’espansione urbana ed il sacrificio di altre aree, bisogna evitare nuovi insediamenti, di cui non se ne vede la necessità, ridisegnando e ricostruendo all’interno del centro urbano già esistente. Avere il coraggio delle idee, di perseguire un modello urbano dove i cittadini, oltre a soddisfare il bisogno abitativo, possano soddisfare anche i bisogni sociali, culturali, di tempo libero, come praticare sport fare teatro, musica, danza e dove i bambini ed i ragazzi, gli anziani, le famiglie possano incontrarsi ritrovandosi in spazi a loro dedicati e muoversi con una certa libertà e sicurezza. Sembra un’utopia, ma è proprio dalle utopie, dalle grandi idee, che l’uomo costruisce la bellezza. Una grande opera realizzata in questo caso da tanti piccoli interventi per ridisegnare la città e su cui vale la pena investire risorse umane ed economiche sia pubbliche che private, per una città il cui scopo non è solo quello di abitare, produrre, consumare, ma anche quello di coltivarsi, valorizzare le risorse naturali, paesaggistiche e culturali. Non dimentichiamoci che siamo tra Paestum, il Parco del Cilento, Pompei, Ercolano, il Vesuvio, la Costiera Amalfitana e Sorrentina.
Bisogna ridisegnare la città con nuove infrastrutture e con idee che, sulle prime potrebbero sembrare spinte, ma che tenendo in conto di abbattere fabbricati, pezzi di città degradati, fabbricati relativamente nuovi, possano farla respirare e dare l’avvio ad uno sviluppo equilibrato, chiudendo al traffico veicolare parti di città e creando parcheggi liberi a ridosso del centro urbano. Svuotare la città da quelle attività non compatibili e decentrarle, dando la possibilità di trasferirle in zone lottizzate ad hoc. Basta con l’espansione urbana ed il sacrificio di altre aree, bisogna evitare nuovi insediamenti, di cui non se ne vede la necessità, ridisegnando e ricostruendo all’interno del centro urbano già esistente. Avere il coraggio delle idee, di perseguire un modello urbano dove i cittadini, oltre a soddisfare il bisogno abitativo, possano soddisfare anche i bisogni sociali, culturali, di tempo libero, come praticare sport fare teatro, musica, danza e dove i bambini ed i ragazzi, gli anziani, le famiglie possano incontrarsi ritrovandosi in spazi a loro dedicati e muoversi con una certa libertà e sicurezza. Sembra un’utopia, ma è proprio dalle utopie, dalle grandi idee, che l’uomo costruisce la bellezza. Una grande opera realizzata in questo caso da tanti piccoli interventi per ridisegnare la città e su cui vale la pena investire risorse umane ed economiche sia pubbliche che private, per una città il cui scopo non è solo quello di abitare, produrre, consumare, ma anche quello di coltivarsi, valorizzare le risorse naturali, paesaggistiche e culturali. Non dimentichiamoci che siamo tra Paestum, il Parco del Cilento, Pompei, Ercolano, il Vesuvio, la Costiera Amalfitana e Sorrentina.
Anche
la nostra campagna è ormai distrutta, inquinata, costruzioni ovunque a macchia
di leopardo. Se provassimo a tracciare una ipotetica circonferenza di cento
metri di raggio intercetteremmo sicuramente una bruttura, una discarica, un canale
inquinato, un corsi d’acqua divenuto ormai una fogna a cielo aperto. Ma è
proprio su tutto questo che bisognerebbe concentrare le forze politiche, sociali
ed economiche, sul recupero ed il disinquinamento di queste aree, cosa che in
altri paesi civili è accaduto, disinquinando corsi di fiumi e controllando
l’intero territorio con l’aiuto delle nuove tecnologie, perseguendo in tempo
reale coloro che inquinano.
Si
sono create aree industriali inutili, come “Fosso Imperatore”, fonti di ruberie
per coloro che le hanno pensate e realizzate, ma che alla comunità e ai
contadini ha solo sottratto la terra, senza creare l’occupazione promessa
perpetrando così l’ennesima beffa. Il territorio comunale, ormai come gran
parte della regione Campania versa in uno stato di abbandono, di degrado ed
ecco dunque bisogno di riconsiderare una nuova economia basata sulla
valorizzazione di ciò che abbiamo o potremmo avere e ripartire da un nuovo
disegno della città e del suo territorio, da un’idea che tenga conto di tutti
gli aspetti accennati e che sia un punto fermo per una nuova Rinascita sociale e soprattutto economica.
Non una “grande opera” ma tanti interventi, di natura economica ed urbanistica,
alla luce di una “grande idea”.
Redatto Aprile 2012
Arch. Gaetano Cialdini